Hai mai desiderato una famiglia che sembri un episodio infinito di un reality show con maledizioni ancestrali, amori proibiti e personaggi più fuori di un balcone? Beh, Cent’anni di solitudine ti offre tutto questo e molto altro. Marquez ti trascina in un vortice di assurdità che ti farà ridere, piangere e chiedere: "Perché sto ancora leggendo?" (ma in senso buono). Se hai il coraggio, continua.
Benvenuti a Macondo: il posto dove la normalità va a morire
La storia parte da un punto molto semplice: José Arcadio Buendía fonda un villaggio, Macondo, in mezzo al nulla. E fin qui tutto normale, no? Solo che poi ci si mettono profezie, incesti e una solitudine che sembra un inquilino non pagante nella vita di tutti. Da qui in poi, la storia prende la piega di una soap opera epica dove ogni generazione dei Buendía fa di tutto per peggiorare la situazione.
José Arcadio inizia l'albero genealogico con la genialità di un visionario e la follia di uno che si costruisce un laboratorio per cercare di capire come funzionano le cose del mondo… ma, spoiler, non lo capisce mai. Il suo amore per le invenzioni lo porta a isolarsi dalla sua stessa famiglia, e qui entra in scena il tema centrale del libro: la solitudine. Ma non è una solitudine pacifica, meditativa, zen. No, questa è una solitudine che si attacca alla pelle, che corrode ogni rapporto e ogni tentativo di felicità.
Le generazioni successive? Peggio che andar di notte. Tra figli che si innamorano di cugini (e a volte sorelle), nonni che fanno scelte discutibili e bambini che nascono con "difetti" molto particolari (ecco, sì, c’è una coda di maiale a un certo punto), la famiglia Buendía si imbarca in un viaggio senza fine verso il disastro. Ogni singolo personaggio sembra condannato a ripetere gli stessi errori dei suoi predecessori, e Macondo diventa una metafora perfetta per questo ciclo infinito di dolore, follia e solitudine.
La cosa affascinante è che nonostante tutto, non riesci a staccarti. Marquez ti tiene lì, incollato, come se fossi spettatore di un disastro aereo al rallentatore. Sai che andrà a finire male, ma non puoi fare a meno di guardare.
Una famiglia da incubo che non puoi fare a meno di amare (e odiare allo stesso tempo)
Il genio di Gabriel García Márquez sta tutto nell’equilibrio tra assurdo e realtà. Cent’anni di solitudine è come prendere un normale dramma familiare e buttarlo dentro una centrifuga di eventi surreali. A ogni pagina ti chiedi: “Davvero sta succedendo? Ma è folle!”. Eppure, ti ritrovi completamente coinvolto, a tifare per questi personaggi che non riescono a fare una scelta giusta neanche per sbaglio.
Lo stile di scrittura di Márquez è un flusso continuo di immagini potenti e suggestive. La sua prosa è tanto bella quanto spietata: ti guida attraverso paesaggi onirici, ti mostra la devastazione emotiva dei personaggi e, con la stessa eleganza, ti porta a ridere della loro assoluta incapacità di gestire le loro vite. È una danza tra il tragico e il comico, e in qualche modo riesce sempre a funzionare.
Il vero cuore della storia, però, è la solitudine. Ogni personaggio è intrappolato in una sorta di bolla emotiva, incapace di connettersi veramente con gli altri. E se pensi che questo suoni deprimente, beh, non hai tutti i torti. Ma Márquez riesce a farci sentire che questa solitudine non è solo una condanna, è anche una forma di resistenza. È come se ogni personaggio dicesse al mondo: “Va bene, mi hai tolto tutto, ma almeno mi tengo la mia solitudine”. Il che, detto così, fa quasi ridere (in un modo tragico, ovviamente).
Se c’è una critica da fare è che, a un certo punto, la ripetizione dei temi (amori proibiti, solitudine, maledizioni) può diventare un po’ stancante. Ma d'altra parte, è proprio questa ripetitività che dà forza alla narrazione: ti fa capire che i Buendía non possono scappare dal loro destino. Il ciclo si ripete, e tu non puoi fare altro che guardarlo svolgersi, pagina dopo pagina.
Perché te lo consiglio
Te lo consiglio perché se ti piace vedere le persone fare errori su errori e vedere come la vita continua a peggiorare senza mai smettere di essere interessante, Cent’anni di solitudine è il tuo libro. Inoltre, se sei un fan del realismo magico, qui ne troverai a palate.
Perché non te lo consiglio
Non te lo consiglio perché, a meno che tu non sia un fan delle tragedie familiari che non finiscono mai bene, potresti trovare questo libro piuttosto deprimente. È come vedere una lunga caduta senza mai trovare il fondo.
Why I Recommend It
I recommend it because if you enjoy watching people make mistake after mistake, and seeing how life can always get worse without ever stopping being interesting, One Hundred Years of Solitude is your book. Also, if you're a fan of magical realism, you’ll find plenty of it here.
Why I Don't Recommend It
I don’t recommend it because, unless you’re a fan of family tragedies that never end well, you might find this book rather depressing. It’s like watching a long fall without ever hitting the ground.